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E’ nato nello stesso anno della televisione italiana, il 1954. Solo che
il Grana Padano, invecchiando, continua a migliorare, la televisione
peggiora. Fu un anno di grandi eventi, il 1954: Compagnoni e Lacedelli
conquistarono il K2, Trieste tornò italiana; e mentre Gino Latilla
strappava lacrime a Sanremo con “Tutte le mamme”, Vittorio De Sica
lanciava Sofia Loren ne “L’oro di Napoli”. Grande cinema in quell’anno:
Luchino Visconti girò “Senso”, Fellini “La strada”. L’evoluzione dei
costumi era alla vigilia della rivoluzione. E’ vero che imperava ancora
Donna Letizia con i consigli di bon ton impartiti dalle sue rubriche
alle famiglie piccolo borghesi, ma dall’America arrivavano le note del
primo rock ad agitare gambe e gonne: “One, two, three o'clock, four
o'clock rock». Era scoccata l’ora di «Rock around the clock».
E’
passato mezzo secolo da allora, ma tutte le cose belle e buone sono
rimaste (la televisione sta cercando di uscire dal tunnel del cattivo
gusto): il rock, Sofia Loren, le mamme e il Grana Padano. La cui storia,
a dir la verità, è, sì, codificata da 50 anni, ma affonda le radici nel
Medioevo quando nelle campagne intorno al Po, poco dopo l’anno Mille,
passate le paure del Giudizio Universale, ci si fa su le maniche per
ripartire. Tempi di grande fame, quelli. Tempi di magri pascoli e scarsi
allevamenti bovini: non si doveva sprecare nulla. I monaci che in
quell’epoca guidavano le coscienze, gli intelletti e i lavori di
bonifica nella immensa pianura intorno al Po, si posero il problema di
come conservare il latte che non veniva bevuto in giornata. L’unico modo
era trasformare quell’imperdibile oro bianco in formaggio. Non fresco,
ovviamente, non deteriorabile.
Nacque così un formaggio a pasta dura,
che faceva del tempo la sua forza, attraverso la stagionatura. Vera o
approssimativa che sia, la storia ci consegna una data e un luogo di
nascita del formaggio grana nella pianura padana: il 1135, nell’abbazia
di Chiaravalle. Una cosa è certa: il formaggio nasce all’ombra dei
chiostri, benedetto dai Benedettini. E i primi casari furono quasi
certamente monaci che chiamarono il grana caseus vetus, formaggio
vecchio. Ma il popolo, che poco sapeva di latinorum, lo ribattezza, per
via della pasta grossa, anulosa, formaggio di grana. O, soltanto, grana.
Apprezzato nelle bicocche, dove se ne vede poco, e nelle corti dove
trionfa lo stravecchio, il grana calma piacevolmente la fame e si fa
una fama. Celebri erano il lodigiano, il milanese, il piacentino e il
mantovano. Nelle campagne in riva al Mincio, cresceva il “grasso
trifoglio alto fino al zenochio” . Ma per vedere sorgere i primi
caseifici occorre aspettare il terzo decennio del XIX secolo, mentre con
l’unità d’Italia migliora la zootecnia da latte.
La svolta nella
produzione dei formaggi arriva un secolo dopo, nel 1951 a Stresa dove
tecnici e operatori caseari europei siglano una “Convenzione”, nella
quale fissano norme precise in tema di denominazione dei formaggi e
indicazioni sulle loro caratteristiche. In quella occasione vengono
distinti il formaggio “di Grana Lodigiano”, divenuto poi il “Grana
Padano”, e il “Parmigiano-Reggiano”. E il 10 aprile 1954, finalmente
l’Italia stabilisce alcune norme sulla tutela delle Denominazioni di
origine e tipiche dei formaggi, tra cui Grana Padano. Due mesi dopo, il
18 giugno 1954, su iniziativa di Federlatte (Federazione latterie
cooperative) e di Assolatte (Associazione industrie lattiero-casearie),
nasce il Consorzio per la tutela del Formaggio Grana Padano, che
riunisce produttori, stagionatori e commercianti del formaggio e assume
l’incarico di vigilare sulla produzione e sul commercio del formaggio.
E
siamo ai nostri giorni. Il Consorzio per la tutela del formaggio Grana
Padano riunisce oggi 132 caseifici produttori, 156 stagionatori, 132
porzionatori e 31 grattugiatori di 32 province dal Piemonte al Veneto,
dalla provincia di Trento a quella di Piacenza. Ha sede a San Martino
della Battaglia, in provincia di Brescia, nel cuore della zona di
produzione. Grana Padano non è più soltanto un formaggio buono. E’ un
alimento sano, moderno, assai digeribile. Grana Padano ha
caratteristiche nutrizionali uniche: un alimento ottimo per i bambini,
fin dai primi mesi di vita, ed un prezioso componente della dieta della
mamma in attesa; ma è altrettanto indicato per gli anziani, risponde
perfettamente alle esigenze di un’equilibrata dieta quotidiana. Basti
pensare che il contenuto medio di colesterolo di 50 grammi di Grana
Padano è di appena 70 milligrammi. Grana Padano è un simbolo
dell’industria alimentare italiana. Non per niente si cerca di copiarlo
in tutto il mondo.
Grana Padano a tavola è protagonista a 360 gradi,
sostiene qualsiasi parte gastronomica gli si affidi. Splendido nel
monologo: essere o non essere? Con la mostarda o il miele, con i fichi o
le pere, lui è. Ma è altrettanto meraviglioso in compagnia di qualsiasi
piatto: dialoga con la pasta, asseconda i risotti, trionfa sui
minestroni. E in tutte le sue età esalta i vini: poco stagionato si
sposa con bianchi freschi, rosati o rossi giovani, fruttati: Soave,
Verdicchio, Custoza, Castelli, Valpolicella. Più maturo vuole rossi
strutturati, rotondi, di sapore pieno, vini ambiziosi speziati, affinati
in barrique, che sanno di prugna e di confettura: Brunello e Barolo,
Amarone e Chianti. Ogni simile ama il suo simile. E quando è vecchio,
piccante (mai piccoso), aggressivo? Mettetelo accanto a un vino
liquoroso di quelli giusti, Moscato, Passito, o il Marsala Soleras e
sentirete che armonia. Siamo al Trionfo dell’Aida, al Vincerò della
Turandot. Si scioglierà in bocca, gentile e disponibile come un
innamorato a San Valentino.
Generoso di natura, non lascia
nessuno con l’amaro in bocca. Si trova a suo agio in trattoria o nelle
cucine super stellate. Fatto a scaglie, a bocconcini o grattugiato, lui
sta bene con qualsiasi ricetta e gli ingredienti di prima qualità più
vari: di mare e di terra, di stalla e di corte, di piuma e di pelo, di
campo e di orto. Sapido, ghiotto, dotato di buon gusto, non tradisce mai
il palato. Quando ne mettono una mezza forma su un tavolo di un
aperitivo o di un buffet, con un coltello infilato nelle sode carni
bianche, c’è l’assalto a Forte Alamo: scaglia dopo scaglia, togli tu che
levo io, dopo poco resta solo l’involucro, la crosta, che servirà da
contenitore per uno splendido risotto all’isolana o ai funghi del
Montello o alle punte di asparagi di Bassano.
Grana Padano ha uno dei
suoi punti di forza nella stagionatura, nove mesi per il “fresco”, 24
per quello più vecchio. Il tempo dà alla caratteristica pasta un sapore
diverso: dolce nel formaggio più giovane, via via più marcato in quello
più stagionato. Tutte le forme passano all’occhiuta visita di leva del
Consorzio? No, solo le migliori. Solo quelle che superano tutte le prove
ricevono il marchio a fuoco, che garantisce la qualità “sana, leale e
mercantile” del Grana Padano. Una medaglia al valore.
Direttore di Golosoecurioso. Giornalista professionista.
Archeogastronomo. È stato caposervizio del giornale L’Arena di
Verona. Ha scritto i libri “Il Bianco di Custoza”; “Il rosto e l’alesso, la
cucina veronese tra l’occupazione francese e quella austriaca”; “Berto Barbarani il poeta di Verona”. Scrive per la rivista nazionale dell'Associazione italiana sommelier "Vitae", per "Il sommelier veneto" e per il quotidiano nazionale La Verità diretto da Maurizio Belpietro. Ha collaborato, con Edoardo
Raspelli, alla Guida l’Espresso. È ispettore della guida "Best gourmet dell'Alpe Adria". Ha vinto i premi Cilento 2006;
Giornalista del Durello 2007; Garda Hills 2008. Nel 2016 ha avuto il prestigioso riconoscimento internazionale Premio Ischia per la narrazione enogastronomica. Nel 2016 ha scritto il libro "Le verdure dimenticate" e nel 2017 "I frutti dimenticati", pubblicati entrambi da Gribaudo. Sempre per Gribaudo ha scritto "Il grande libro delle frittate". In collaborazione con Slow Food ha pubblicato nel 2018 il volumetto sul presidio "Il broccoletto di Custoza".
Indirizzo mail: morello.pecchioli@golosoecurioso.it