Goloso e Curioso
ALLA SCOPERTA DELL'ALGERIA

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L’Algeria, che può vantare il privilegio di aver generato nella seconda metà del secolo scorso il turismo sahariano (creato per ovvi motivi dai francesi, ma al quale gli italiani hanno saputo dare un contributo determinante), possiede uno dei tratti maggiori, tra i più ricchi e interessanti dal punto di vista geologico e artistico, nonché tra i più belli in assoluto del grande deserto del Sahara. Grande otto volte l’Italia, il deserto occupa ben l’ 85 % della superficie totale  (cioè oltre sette volte l’Italia) e nella sua enorme varietà presenta tutte le forme morfologiche possibili ed immaginabili, quelle reali e pure quelle dell’immaginario collettivo. L’estrema zona di sud-est sotto la cittadina-oasi tuareg di Djanet, ad esempio, nota con il nome di Tadrart Acacus (tadrart, nella lingua dei tuareg, significa semplicemente montagna), si presenta come una delle più spettacolari dal punto di vista paesaggistico: selve di guglie, pinnacoli e funghi, castelli turriti che emergono dalla sabbia, imponenti canyon che si insinuano in profondità nelle montagne, labirinti di rocce dalle forme fantasmagoriche e dalle continue variazioni cromatiche, enormi dune che cambiano colore a seconda della luce; un ambiente unico ed incontaminato, con tutta la malia del deserto, capace di trasportare il visitatore in un mondo minerale particolarissimo ed estremamente suggestivo. Tutto merito, o colpa, dell’arenaria, una roccia sedimentaria di sabbie pressate dai colori ocra, giallo e rosso violaceo, la stessa che forma i massicci montuosi del Tassili n’Ajier algerino e dell’Acacus libico, ma un po’ più giovane e assai più friabile, in grado di venire facilmente erosa e modellata in mille forme bizzarre dall’azione corrosiva di vento e pioggia. E nel tempo immane i compatti rilievi tassiliani sono stati cariati e sgretolati, fino a ridursi in blocchi isolati o nella sabbia delle dune. I torrenti che scendevano numerosi e copiosi d’acqua, quando in un’altra epoca climatica il Sahara era verde, dalle montagne generavano una imponente rete idrica capace di alimentare fiumi e laghi, nonché una ricca vegetazione idonea ad ospitare un’abbondante fauna selvatica. Tutti questi positivi elementi ambientali richiamarono la presenza dell’uomo, facendo del Tadrat una delle culle della civiltà umana, dai cacciatori tardo paleolitici fino ai pastori neolitici, come dimostrano innumerevoli paleo-suoli ed una miriade di strumenti litici (da macine e pestelli ad amigdale, da punte di freccia e lame taglienti in selce a ceramiche di varia tipologia), nonché la strabiliante arte parietale rupestre preistorica, qui presente con un numero rilevante di veri capolavori che rappresentano tutte le fasi stilistiche e coprono un arco di tempo di ben 12.000 anni, fino all’epoca cristiana. Purtroppo le variazioni climatiche e la desertificazione hanno distrutto questa rete di paleo fiumi, che tramite il Tefassaset (uno dei maggior corsi sahariani) nel Quaternario alimentava il lago Ciad, lasciando soltanto un intrico di aridi uadi punteggiati al massimo da qualche acacia. E con le acque se ne sono andati altrove anche vegetazione, fauna allevata e selvatica e comunità umane, anche se forse le condizioni morfologiche di questa regione hanno consentito un attardamento rispetto ad altri territori per cacciatori e pastori con le loro mandrie. Un itinerario nel Tadrart Acacus costituisce anche un’eloquente lezione sulla caducità delle cose, sulla relatività delle situazioni, dallo sgretolamento delle montagne fino alla scomparsa dei fiumi, con le perenni difficoltà di sopravvivenza per la nostra specie.

Un possibile itinerario non può che partire dalla verde oasi di  Djanet, una delle poche città stanziali dei tuareg ubicata con le sue case di fango e pietra sotto le pareti precipiti del Tassili,  nel passato importante nodo carovaniero e sede di un forte coloniale della Legione Straniera (dove merita un visita il folcloristico souk e il museo ricco di reperti preistorici e strumenti tuareg), per puntare a sud-est verso i confini di Libia e Niger, attraversando una fitta rete di uadi con terrazzi paleo fluviali, cespugli di tamerici, arte rupestre, dromedari al pascolo e tracce di mufloni e piccole gazzelle. Ad Essadelaghe pitture di rane sulle pareti di una grotta ci attestano ben altre condizioni climatiche. Tra dune si arriva a Tibenkar, ricco di siti rupestri e paleo-suoli con reperti di comunità agropastorali, dove lo sguardo spazia fino al Messak Mellet libico ed all’erg di Murzuq. Tiknewen, le sorelle, offre due curiosi rilievi assolutamente identici che spuntano solitari dalle sabbie, mentre Mulenaga presenta grandi anfiteatri di sabbia e incredibili paesaggi rocciosi in dissoluzione con torrioni, castelli e cattedrali di pietra e Alidemma una distesa di svettanti faraglioni.  Famose sono le inconsuete dune rosse di Tin Merzuga, dove va a smorzarsi l’altrettanto celebre oued In Djeran, un profondo canyon scavato dalle alluvioni quaternarie fino ad una suggestiva guelta finale. Le lisce pareti precipiti, le grotte ed i ripari sottoroccia offrono una straordinaria rassegna di arte rupestre, con pitture ed incisioni che ritraggono animali selvatici, mandrie di buoi, simboli arcani e scene erotiche e di vita pastorale disegnati con tratti essenziali ma decisi, incredibilmente espressivi e moderni. Qui si trova anche la famosa “giraffa accucciata”, una pittura di straordinaria eleganza assunta come capolavoro e simbolo dell’arte sahariana.  Puntando a nord verso il Tassili si incontrano altri siti rupestri, si attraversa un uadi ricco di cespugli di piante profumate e si raggiunge infine la piana di Terarat, zona di isolati pinnacoli di roccia, uno dei quali presenta una delle più espressive incisioni rupestri del neolitico sahariano: la cosiddetta “vacca che piange”, un bassorilievo finemente inciso di bovini che vorrebbero abbeverarsi ad una pozza ormai secca, eloquente testimonianza della tragedia climatica che 5.000 anni fa ha investito il Sahara, trasformandolo da una rigogliosa oasi di vita ad un deserto arido ed infuocato.

L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.viaggilevi.com), unico in Italia specializzato da oltre 30 anni in spedizioni nei deserti di tutto il mondo, propone in Algeria un itinerario di 10 giorni in fuoristrada dedicato all’esplorazione del Tadrart Acacus.  Uniche partenze di gruppo con voli Air Algerie da Milano (e da altri aeroporti) il 26 dicembre, 27 febbraio e 3 aprile 2015, pernottamenti in tenda con pensione completa, guida tuareg di lingua francese e accompagnatore dall’Italia, quote da 1.940 euro in doppia.  Nel sud dell’Algeria Viaggi Levi propone anche altri percorsi.

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Morello Pecchioli
Alla scoperta dell'algeria

Morello Pecchioli

Morello Pecchioli

Direttore di Golosoecurioso. Giornalista professionista. Archeogastronomo. È stato caposervizio del giornale L’Arena di Verona. Ha scritto i libri “Il Bianco di Custoza”; “Il rosto e l’alesso, la cucina veronese tra l’occupazione francese e quella austriaca”; “Berto Barbarani il poeta di Verona”. Scrive per la rivista nazionale dell'Associazione italiana sommelier "Vitae", per "Il sommelier veneto" e per il quotidiano nazionale La Verità diretto da Maurizio Belpietro. Ha collaborato, con Edoardo Raspelli, alla Guida l’Espresso. È ispettore della guida "Best gourmet dell'Alpe Adria". Ha vinto i premi Cilento 2006; Giornalista del Durello 2007; Garda Hills 2008. Nel 2016 ha avuto il prestigioso riconoscimento internazionale Premio Ischia per la narrazione enogastronomica. Nel 2016 ha scritto il libro "Le verdure dimenticate" e nel 2017 "I frutti dimenticati", pubblicati entrambi da Gribaudo. Sempre per Gribaudo ha scritto "Il grande libro delle frittate". In collaborazione con Slow Food ha pubblicato nel 2018 il volumetto sul presidio "Il broccoletto di Custoza".
Indirizzo mail: morello.pecchioli@golosoecurioso.it

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