Goloso e Curioso
SARA' UNA ZUCCA, MA E' TANTO BUONA

SARA' UNA ZUCCA, MA E' TANTO BUONA

Ai vip la zucca piace. Franco Zeffirelli andava matto per la zuppa di zucca di Delia Scala. Ogni volta che il regista ospitava la showgirl nella splendida villa di Positano le chiedeva: “Per favore, me la prepari?”. A Valentina Cortese, una delle regine del teatro italiano, ora novantunenne, piace da matti il risotto fatto con la polpa gialla della cucurbitacea. Eva Longoria, attrice e modella americana, “disperata casalinga” autrice di un libro di ricette, confessa che adora la zucca e ne fa l’ingrediente principale del suo piatto preferito: com and calabaza, una sorta di polenta di mais con il tondo ortaggio.
Persino i santi amano l’umile bontà della zucca. Al servo di Dio Marc’Antonio Cavànis, prete, poeta ed educatore veneziano, piaceva a tal punto che le dedicò un poemetto in dialetto. “Mi che no ghe diga ben? Sì che lo ho da dir./ Che la zuca xe quanto un elisir,/ che dà la vita ai morti....”, e così via per 93 versi in rima baciata. E se Marziale rimproverava l’avaro Cecilio di esagerare perchè usava la zucca, poco costosa, come unico ingrediente dall’antipasto al dolce, camuffandola perfino da fungo, Plinio la definì “sollievo della vita umana”.
 La zucca è il maiale degli ortaggi. Non si butta niente. Oltre alla polpa si mangiano i fiori (impanati e fritti), i semi (tostati e salati: i bruscolini) e perfino la buccia. C’è chi la mangia così, semplicemente, insieme alla polpa, cotta al forno o nella pentola d’acqua bollente. E c'è chi usa la scorza per farne purea o gnocchi o dolci. Abbinata al formaggio produce un ottimo cheese cake.
Ci sembra quasi superfluo sottolineare i mille e mille impieghi della polpa: pastasciutte, risotti, pasticci, gnocchi, purea, insalate, contorni, mostarde, conserve, marmellate, dolci. Tagliandola fine fine e condita con una vinaigrette di aceto, olio, sale e pepe (volendo si possono aggiungere scaglie di grana e qualche foglia di rucola) diventa un  ottimo carpaccio. Se le fettine sottili vengono invece fritte, se ne ricavano croccanti chips da accostare al fish in alternativa alle solite patatine.
Come il maiale la zucca è maltrattata dalla lingua. Di uno scolaro che fa fatica a capire si dice: "E’ uno zuccone"'. Rimane una “zucca vuota” se, diventato adulto, continua ad aver poco sale nella cocuzza. Il che, però, non gli impedirà di candidarsi alle elezioni e diventare parlamentare o amministratore (qualcuno così lo conosciamo tutti) o di farsi raccomandare per un lavoro di concetto. C’è da dire, però, che il vocabolario della Chiesa riscatta la povera zucca: sia pure ridotta a diminutivo maschile, zucchetto, la mette in capo ai cardinali (rosso) e al papa (bianco).
Ma la zucca è più versatile del maiale. E’ malleabile, trasformista, multiuso come il coltellino svizzero. Nelle mani di cuochi-artisti dà vita a straordinarie sculture vegetali. Alcune specie di cocurbitacee- la lagenaria, la benincasa- si prestano a meraviglia come soprammobili o, meglio ancora, come contenitori e recipienti: di cibo, acqua, farine. San Rocco la teneva legata al bastone di pellegrino come borraccia per l’acqua. Da secoli in Africa e in Asia ne fanno casse di risonanza tamburi e gong. Due zucche vuote con i semi dentro hanno ispirato le maracas. Altre zucche sono servite come strumenti di rituali pagani che, spenti i fuochi celtici, persi i significati e svuotate le zucche, continuano oggidì con i “dolcetti o scherzetti” di Halloween.
Ancora. Fino a poco tempo fa gli zuccotti vuoti erano l’unico capo d’abbigliamento per gli uomini di alcune tribù amazzoniche: servivano loro da "portagioie" per proteggere e difendere i genitali. E se Cenerentola rimpannucciata da fata Smemorina si accomoda su una Atlantic Giant come magico mezzo di trasporto (Salagadùla, magicabùla, bidibi bodibi bù...), Teofilo Folengo imprigiona in una zucca vuota chi ha perso il senno: filosofi, poeti, astronomi, medici e compagnia bella.
Non si sa ancora bene in quale parte del mondo sia nata la zucca. Secondo alcuni studiosi le tracce più antiche ci portano in Messico dove sono stati trovati semi di ottomila anni fa. Altri studiosi sostengono invece che la zucca sia d’origine asiatica. E’ certo che dopo Colombo arrivarono dal nuovo continente parecchi nuovi tipi di cucurbitacee, buone da mangiare e generose in cucina. Una leggenda narra di zucche portate dalle acque degli oceani da un continente all’altro prima ancora che fosse scoperta l’America.  Sbarcate in nuove terre le colonizzarono allungando i loro rami a spirale e spandendo ovunque i semi. Che la zucca sappia star bene a galla lo si sa fin dalle epoche antiche quando la usavano come salvagente o come boa.
A differenza del maiale, saporito araldo di calorie e colesterolo, la zucca é una farmacia vegetale, uno scrigno fitoterapico, una cornucopia che dispensa salute.  Non tanto per il suo modestissimo apporto calorico e per il colesterolo zero, ma perchè è una miniera di vitamina A, betacarotene, potassio, sali minerali e vitamine idrosolubili. Antitumorale, potente alleato contro il diabete, la zucca mantiene la pelle e gli organi giovani grazie alle proprietà antiossidanti che combattono i radicali liberi. E i semi- non tostati e salati- grazie alla cucurbitina, fanno bene all’apparato urinario, rilassano, prevengono l’osteoporosi e combattono il gonfiore.
Ma torniamo in cucina dove la zucca, considerato un tempo cibo plebeo, si è conquistata secolo dopo secolo una posizione aristocratica avviluppando sempre più nelle spire dei suoi rampicanti i favori dei gourmet. Chi fu il primo a tesserne le lodi non è noto. Si sa, però, che Mastro Martino, il più importante cuoco del Quattrocento, traghettatore della cucina e del gusto dal Medioevo al Rinascimento, aveva grande considerazione per la zucca e la servì trionfalmente sulle tavole dei ricchi. Nel “Libro de arte coquinaria” oltre ad insegnare come cuocere le cucurbite, detta le ricette per le frittelle di zucca, le “Zucche al lacte d’amandole” e le “Carabaze (zucche) alla catalana”. Ecco la ricetta: vanno cucinate con lardo battuto, brodo grasso, zafferano, zucchero e spezie dolci. In che proporzioni? Mastro Martino raccomanda: “Secondo il gusto del tuo Signore”. Ad ogni buon conto lui ci aggiunge “qualche rosso d’ovo battuto con un pocho di caso (formaggio) vecchio”.
La ricetta, e tutte le altre del cuoco umanista, deve avere incontrato alla grande i gusti dei suoi Signori visto che Mastro Martino passò di trionfo in trionfo, di corte in corte, dalle cucine degli Sforza a quelle del cardinale camerlengo Ludovico Scarampi Mezzarota, vice di quattro papi, detto “cardinal Lucullo” per gli opulenti banchetti che imbandiva e le sontuose mense che faceva allestire nel suo palazzo. Ricchissimo e potentissimo, c’è da credere che se fosse diventato papa avrebbe certamente depennato dalla lista dei vizi capitali quello della gola. Certamente non era afflitto dall’avarizia se è vero che assegnava settimanalmente a Mastro Martino 140 ducati soltanto per acquistare i cibi. Al cambio con l’attuale valuta europea corrisponderebbero, ducato in più ducato in meno, a 3500 euro. Alla faccia dell’appetito e dell’evangelica sobrietà.
Anche Bartolomeo Sacchi, detto il Platina dalla sua città natale, Piadena, dove nacque nel 1421, mise la zucca sul piedestallo. Non era un cuoco, ma un grande umanista. E considerava Mastro Martino un maestro. Sacchi fu il precettore dei rampolli di Lodovico III Gonzaga. Letterato, fu al servizio di due papi come cancelliere, latinista e prefetto della biblioteca vaticana. Deve la sua fama ad un trattatello di gastronomia e dietologia: “De honesta voluptate et valetudine”. Il Platina fu il primo teorizzatore della tavola ben apparecchiata e della cucina regionale e stagionale. Influenzò notevolmente i costumi e la cucina della corte di Mantova dove trovò orecchi attenti quando deprecava lo smodato utilizzo della carne, apportatrice di gotta, lodando invece il salutare consumo di frutta e ortaggi di stagione e del territorio. Come la zucca. A distanza di cinque secoli e mezzo gli onesti e ghiotti insegnamenti del Platina, ripresi e perfezionati nel ‘600 da Bartolomeo Stefani, altro celebre cuoco-scrittore al servizio dei Gonzaga, che fece della zucca la protagonista di piatti principeschi (scrisse “L’arte del ben cucinare”), sono ancora vivi  nella raffinata cucina virgiliana che declina la suca nei modi più svariati e saporiti: gnocchi di zucca, zucca marinata, mostarda di zucca e, rimasti sublimi attraverso i secoli, i tortelli di zucca.
Curiosamente si chiamava Bartolomeo – e fanno tre- un altro grande cuoco letterato, lo Scappi, cinquecentesco chef di due papi Pio, il IV e il V. Firmò un ponderoso trattato di cucina in sei libri: “Opera di Bartolomeo Scappi maestro dell’arte del cucinare”. Il titolo ci dice che lo Scappi non aveva la modestia tra le sue virtù, ma non gli si può certo rimproverare di essere cosciente del suo valore tra i fornelli. Uno che raccoglie più di mille ricette, che illustra dettagliatamente forme e usi degli svariati strumenti di cucina, che mostra per la prima volta come è fatta una forchetta, spiega i nuovi metodi di preparazione e cottura dei cibi ed entra nel dettaglio di come si usano i prodotti importati dal Nuovo Mondo, tra i quali i molti nuovi tipi di zucca, è un grande.
E’ così che l’Umanesimo e il Rinascimento rivoluzionano, oltre all’arte, all’architettura, ai costumi, al pensiero, anche la cucina e l’alimentazione. E la zucca, considerato prima cibo da contadini (che, però, nel corso dei secoli imparano a farne l’ingrediente di piatti rustici ma saporiti) e da animali, ottiene il suo riscatto sociale. Per il sapore, la versatilità, ma forse anche perchè clero, aristocratici e re non possono ignorarne la forte carica simbolica. Per il grande numero dei semi, la zucca- come la melagrana e gli agrumi- è emblema di abbondanza e fertilità. Una simbologia presente anche in altre popolazioni dell’Asia e dell’Africa dove in molte tribù, spiegano gli antropologi, la zucca ha rappresentato e rappresenta ancora l’uovo cosmico.
Nel 1891 è pubblicato il libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi. Lo scrittore di Forlimpopoli è il salvaricette della cucina regionale italiana ed eleva ad arte la gastronomia e ad artisti (più di un secolo prima di Masterchef) i cuochi piccoli e grandi della Penisola, i gourmet e chi si occupa di culinaria in modo colto e responsabile: “Non vorrei che per essermi occupato di culinaria”, scrive Artusi nella prefazione, “mi gabellaste per un ghiottone o per un gran pappatore; protesto contro questa taccia poco onorevole perchè non sono nè l’una nè l’altra cosa. Amo il bello e il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata la grazie di Dio. Amen”. Intelligente, colto ed ironico.
Ecco una delle sue ricette con la zucca. La raccomanda perchè, oltre ad essere buona, è salutare: Zuppa di zucca gialla.
“Zucca gialla, sbucciata e tagliata a fette sottili, un chilogrammo. Mettetela a cuocere con due ramaioli di brodo e poi passatela dallo staccio. Fate al fuoco un intriso con grammi 60 di burro e due cucchiaiate rase di farina, e quando avrà preso il color biondo fermatelo col brodo, aggiungete la zucca passata e il resto del brodo che basti per 6 persone. Poi versatelo bollente sopra dadini di pane fritto e mandate la zuppa in tavola con parmigiano grattato a parte. Se farete questa zuppa a dovere e con brodo buono potrà comparire su qualunque tavola e avrà anche il merito di essere rinfrescante”. Un abbinamento con il vino? Non so se Artusi sarebbe d’accordo, ma accosterei alla zucca un bianco aromatico, un Sauvignon. O anche un Albana della sua terra.
Meriterebbe ben altra fama Giulia Lazzari Turco, baronessa trentina, amica dell’Artusi, autrice di un mastodontico ricettario ormai introvabile: “Ecco il mio libro di cucina”. In esso la gentildonna raccoglie più di 4000 ricette dimostrando una conoscenza culinaria pari (a nostro parere superiore) a quella dell’Artusi. Eppure è ignorata dal Dizionario Biografico Treccani (che la nomina solo in quanto moglie del musicista Raffaello Lazzari) e da quasi tutti i libri che si occupano di gastronomia e gastronomi. La Turco dedica molte pagine alla zucca. Suggerendo di preparare con l’ortaggio conserve, soufflè, insalate, minestre, fritti o di cucinare piatti che l’abbinano a molte verdure. Le specie che preferisce sono la zucca marina, soprattutto quella di Chioggia (in Veneto suca barùca per via delle verruche sulla buccia), e la zucca santa che suggerisce di “allestire” in sugo, alla provenzale, fritta, colla pastina, al gratin, in purée.
Una sua ricetta? Molto particolare è la Zucca ripiena di risotto. “Scegliete una zucca marina che abbia una forma regolare, asportatene una fetta in cima e una in fondo, vuotatela lasciando 3 centimetri di polpa, correggete con un coltellino le asperità della corteccia, lessatela nell’acqua bollente salata. Conditela internamente con sale, pepe, burro fuso e formaggio, riempitela di risotto bollente accomodandolo a piramide e servite subito”. Anche in questo caso, come abbinamento, suggerirei un vino della terra della baronessa: una bollicina trentina o un Manzoni Bianco.
Frutto stagionale, alla zucca piace ancora molto essere protagonista come ai tempi dei Gonzaga, grazie al suo eccletismo e al bel colore giallo che ricorda l’oro antico. Giorgio Gioco, il celebre cuoco dei “12 Apostoli” di Verona, amico di giornalisti, scrittori e artisti, lui stesso scrittore, presentò anni fa a Badoere, a un concorso gastronomico, una crema di zucca come fosse un sole in trono. Prese una enorme zucca, la tagliò a metà, ne scavò l’interno, la riempì con la crema fatta con la sua polpa, ci posò sopra delle pannocchie di granturco a mo’ di raggi, pose il sole su una portantina regale e servì quell’aurea vellutata con un crostone di tartufo. Fu un trionfo.
Il risotto con la zucca di Gabriele Ferron, cuoco giramondo che insegna come fare i risotti secondo la grande tradizione italiana (li ha cucinati perfino sulla Grande Muraglia cinese), è un classico dell’arte culinaria padana. Lui stesso spiega la ricetta: “Questi gli ingredienti per quattro persone: 320 grammi di riso Vialone Nano; 7 decilitri di brodo vegetale; 400 grammi di polpa di zucca; mezza cipolla; 40 grammi di olio extravergine di oliva; una noce di burro; 60 grammi di grana grattugiato; prezzemolo; sale e pepe. In una pentola fate imbiondire la cipolla tritata finemente, aggiungete la zucca già tagliata a pezzetti, insaporite con sale e pepe. Lasciate cuocere fino ad ottenere una purea, lasciando da parte pezzetti di zucca ancora interi. In una casseruola tostate il riso con 20 grammi di extravergine. Unite tutto il brodo bollente che avrete preparato in una volta, mescolate delicatamente e coprite con il coperchio ponendo la fiamma al minimo. Lasciate cuocere per 10 minuti. A questo punto aggiungete la purea di zucca e i pezzetti e ultimate la cottura. Mantecate con la noce di burro, il grana, il trito di prezzemolo. Servite con qualche fettina di zucca scottata. E buon appetito”.
Ferron, con grande amore di patria enologica suggerisce di abbinarlo a un Custoza o a un Soave. Ma molti vini bianchi sapidi che si contrappongano alla succulenza del piatto gli si possono accompagnare: Friulano, Grechetto, Fiano d’Avellino e altri ancora.
Il grande Paolo Monelli ne “Il ghiottone errante” accosta un piatto con la zucca al Bardolino. Lodando i cuochi della Serenissima che “giocano con le materie prime” “si divertono ad atteggiarle” e a creare combinazioni, scrive che serbano ad ogni ingrediente il suo gusto originale “sì che dagli strani connubi non nasce un popolo bastardo, ma il nobilomo resta nobilomo e il greco greco e lo schiavone schiavone e il moro Otello non guasta la bionda Desdemona, ma s’armonizza con essa: fegato alla veneziana e zucca barucca”. Nessuna gelosia, dunque, se tra il moro e la bionda s’inserisce il giovane rosso. A tavola la compagnia fa bene.

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Morello Pecchioli
Sara' una zucca, ma e' tanto buona

Morello Pecchioli

Morello Pecchioli

Direttore di Golosoecurioso. Giornalista professionista. Archeogastronomo. È stato caposervizio del giornale L’Arena di Verona. Ha scritto i libri “Il Bianco di Custoza”; “Il rosto e l’alesso, la cucina veronese tra l’occupazione francese e quella austriaca”; “Berto Barbarani il poeta di Verona”. Scrive per la rivista nazionale dell'Associazione italiana sommelier "Vitae", per "Il sommelier veneto" e per il quotidiano nazionale La Verità diretto da Maurizio Belpietro. Ha collaborato, con Edoardo Raspelli, alla Guida l’Espresso. È ispettore della guida "Best gourmet dell'Alpe Adria". Ha vinto i premi Cilento 2006; Giornalista del Durello 2007; Garda Hills 2008. Nel 2016 ha avuto il prestigioso riconoscimento internazionale Premio Ischia per la narrazione enogastronomica. Nel 2016 ha scritto il libro "Le verdure dimenticate" e nel 2017 "I frutti dimenticati", pubblicati entrambi da Gribaudo. Sempre per Gribaudo ha scritto "Il grande libro delle frittate". In collaborazione con Slow Food ha pubblicato nel 2018 il volumetto sul presidio "Il broccoletto di Custoza".
Indirizzo mail: morello.pecchioli@golosoecurioso.it

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